Cultura

Il marmo: Michelangelo e il marmo a Carrara

Il grande Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 – Roma, 1564), pur non avendo lasciato opere a Carrara, ebbe sempre un rapporto strettissimo con la città, soggiornandovi più volte per compiere frequenti visite alle cave, al fine di scegliere di persona i marmi che avrebbero dato vita alle sue opere: in piazza del Duomo, sulla facciata della casa in cui dimorò durante uno dei suoi soggiorni, sono presenti il suo busto e una targa che ricorda la sua presenza a Carrara.

Il primo soggiorno risale all’autunno del 1497: Michelangelo, all’epoca appena ventiduenne, raggiunse Carrara a cavallo per procurarsi i marmi necessari alla realizzazione della Pietà commissionatagli dal cardinale francese Jean de Bilhères-Lagraulas. Malgrado le condizioni atmosferiche non fossero ideali per il lavoro alle cave (d’inverno le temperature in quota sono rigide e spesso le cave di marmo sono coperte dalla neve) l’operazione si svolse senza particolari intoppi e il fornitore di Michelangelo, Matteo Cuccarello, a febbraio fece trovare a Michelangelo i marmi estratti dalla cava del Polvaccio pronti per il trasporto. I blocchi, tuttavia, giunsero a Roma solo all’inizio dell’estate per impedimenti di cui, allo stato attuale delle ricerche, purtroppo non sappiamo alcunché (benché si ipotizzi che si fosse trattato di problemi di natura burocratica). In agosto Michelangelo avrebbe firmato il contratto con il cardinale per la realizzazione di uno dei più celebri capolavori dell’arte mondiale.

Dopo la prima esperienza, Michelangelo si recò altre volte in loco per procurarsi il marmo che serviva alla realizzazione delle grandi opere. Diverse erano le ragioni che spingevano l’artista ad andare di persona a Carrara: tra queste, la scarsa reperibilità di marmo di qualità a Firenze e a Roma (lo scultore, infatti, aveva avuto in passato pessime esperienze con il materiale acquistato a Firenze) e la conseguente possibilità di contare su una scelta molto più ampia rispetto a quella che le città lontane dalle cave gli prospettavano, e la volontà di conoscere in maniera approfondita il materiale stando a diretto contatto con i lavoratori che a quel materiale dovevano il loro sostentamento (e frequentando i cavatori, l’artista riuscì a colmare le sue lacune formative in materia di marmo, dal momento che, fino al momento in cui iniziò la Pietà, aveva sempre lavorato su blocchi già sbozzati). Per tali motivi, Michelangelo considerava parte integrante della realizzazione dei suoi capolavori queste prime fasi di scelta del materiale.

Stando ai documenti e alle biografie, sappiamo che Michelangelo tornò a Carrara per la seconda volta nel 1503, quando l’Opera del Duomo di Firenze gli commissionò la realizzazione delle statue degli apostoli, e di nuovo nella primavera del 1505, poco dopo aver ricevuto la commissione del monumento funebre di papa Giulio II, che sarebbe diventata l’impresa più tormentata della sua carriera e della sua vita (il celeberrimo Mosè è scultura che fa parte di tale monumento, e fu eseguito in marmo apuano). Le nuove esperienze alle cave si svolsero durante la buona stagione: in occasione del soggiorno del 1505 (durato otto mesi, lasso di tempo sufficiente affinché l’artista potesse già sbozzare i marmi a Carrara, dove si trattenne fino alla fine dell’autunno), Michelangelo prese accordi diretti per il trasporto con alcuni proprietari di barche originari di Lavagna (le navi che all’epoca svolgevano il servizio di trasporto dei marmi dalla spiaggia di Avenza erano quasi tutte liguri).

Per i cavatori, inoltre, la possibilità di avere Michelangelo a Carrara significava avere un cliente d’eccezione, dacché i quantitativi da lui ordinati erano sempre cospicui, stante la grandezza delle imprese artistiche che era chiamato a compiere.

L’artista tornò a Carrara nel 1516, benché nel frattempo avesse continuato a trattare ogni anno con i suoi fornitori abituali, anche grazie all’aiuto di persone di fiducia. Tuttavia, i tempi erano cambiati. Giulio II era scomparso, e il monumento sepolcrale era ben lontano dal suo completamento, tanto che l’erede, Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino, impose allo scultore di terminare l’opera nel giro di sette anni (una scadenza poi non rispettata). Inoltre, Michelangelo si trovò a dover ingaggiare una dura lotta con il nuovo pontefice Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici), che premeva affinché l’artista utilizzasse il marmo delle cave di Pietrasanta (città che era sotto il dominio mediceo) invece che quello carrarese. Ma l’artista non voleva lasciare Carrara, e non solo perché ormai sulla riviera apuana aveva creato una pluriennale rete di rapporti, ma anche perché le cave di Pietrasanta non erano ancora state sfruttate, e dare il via alla coltivazione (con tutto ciò che comportava: individuare i siti, formare le professionalità, creare le vie di trasporto) era un compito più che gravoso, che Michelangelo non voleva assumersi.

In occasione del soggiorno del 1516, cominciato nel mese di settembre, l’artista affittò una casa (segno che aveva intenzione di fermarsi in città a lungo), quella in piazza del Duomo su cui oggi sono posti il busto e la lapide, e iniziò a trattare, come suo solito, con i cavatori, ma nel mese di dicembre fu raggiunto da una missiva inviata da Roma, che lo accusava di favorire i marmi carraresi a scapito di quelli versiliesi, malgrado la curia pontificia gli avesse espressamente richiesto di utilizzare le cave di Seravezza. Michelangelo, tuttavia, non solo non si curò delle accuse che giungevano dallo Stato Pontificio, ma continuò a lavorare alacremente a Carrara (dove rimase fino all’agosto del 1517), tanto da fondare, assieme a un cavatore carrarese, Leonardo Cagione, una società destinata ad avviare lo sfruttamento di una nuova cava, con il duplice scopo di facilitare l’approvvigionamento dei marmi e di guadagnare anche sulle forniture: i due avrebbero diviso a metà tanto le spese quanto gli utili. Michelangelo ebbe per un momento la situazione a suo favore, dacché la sua ostinazione spinse poi i Medici a garantirgli, per il progetto della nuova facciata della basilica di San Lorenzo a Firenze (poi mai portato a termine), la libertà di scegliere se rifornirsi a Carrara o a Seravezza, ma una serie di pesanti screzi con i proprietari di cava carraresi (principalmente per inadempienze e ritardi sulle consegne, ma Michelangelo accusava i cavatori di aver anche messo in giro cattive voci sul suo conto), e alcune tensioni con il marchese di Massa, Antonio Alberico II Malaspina, lo spinsero a lasciare Carrara per recarsi a rifornirsi di marmi nelle nuove cave di Seravezza.

Il rapporto con Carrara, tuttavia, non si estinse. Michelangelo tornò sulla riviera apuana nel 1519, in seguito alla distensione dei rapporti con alcuni fornitori: a Seravezza, peraltro, l’artista aveva incontrato diverse difficoltà soprattutto a causa delle scarsissime competenze dei lavoratori locali (tanto che dovette addirittura far loro da insegnante), e inviate le proprie rimostranze al papa, gli fu risposto che poteva tranquillamente rifornirsi a Carrara per i marmi da destinare a San Lorenzo.

Michelangelo tornò un’ultima volta a Carrara nel 1521, per scegliere i marmi per la nuova commissione medicea, la Sagrestia Nuova, mentre l’ultimo contratto con Carrara che conosciamo è datato 1523: all’epoca, l’artista non si recò di persona in città, ma inviò un suo amico nonché fidato collaboratore, lo scalpellino Domenico da Settignano, detto “Topolino”, che lo aveva già seguito svariate volte alle cave apuane e che in quell’occasione seguì l’estrazione dei blocchi al posto suo, inviando di continuo lettere a Michelangelo per informarlo di come procedevano i lavori. Dalle lettere scambiate con i vari corrispondenti sappiamo che, attraverso l’aiuto di Topolino, Michelangelo continuò a rapportarsi con Carrara almeno fino al 1525: in seguito a tale data, per diversi motivi (cambiamenti politici, nuovi progetti, avanzare dell’età), venne meno l’esigenza, da parte di Michelangelo, di trattare direttamente con i carraresi per ricevere il marmo.

I rapporti con Carrara durarono circa trent’anni: furono rapporti spesso tesi, faticosi, ai quali non giovarono il carattere notoriamente difficile dell’artista e il temperamento rude e fiero dei cavatori apuani. Ma nell’immaginario collettivo, Michelangelo e Carrara appaiono come due “entità” legate indissolubilmente, e ancora oggi, osservando i grandi capolavori che l’artista ha lasciato all’umanità, è sempre suggestivo pensare allo scultore mentre compie i suoi faticosi viaggi verso Carrara, si arrampica tra mille difficoltà sulle cime dei monti sfidando le impervie vie di cava e le avverse condizioni del tempo, fatica, suda e impreca assieme ai cavatori, tratta con loro dando spesso in escandescenze, segue ogni fase delle lavorazioni e osserva infine soddisfatto il prodotto del suo genio.